È la sera del 22 luglio 2001. Sono circa le 22.00. Alla scuola Diaz di Genova, allora ospitante il Genova Social Forum in occasione del G8, faceva interruzione il VI reparto mobile della polizia di Stato. Forse non tutti ci ricordavamo questa data, ma il film che è appena uscito nelle sale: “DIAZ”, di Daniele Vicari, ce l’ha riportato alla mente.
Il G8 sta per finire, ma prima da Roma arriva un alto funzionario del Ministero degli interni che ordina di sgomberare un manufatto, dove si trovano in black blok (“o almeno uomini incappucciati che bevono birra”, come dichiara un poliziotto). L’intervento avviene senza autorizzazione del magistrato: vi è infatti l’art 41 del TULPS (Testo Unico sulla Sicurezza) che in flagranza di reato consente operazione di polizia giudiziaria senza informare il magistrato.
MA qual è il reato? È una bottiglia vuota che il pomeriggio di quel 22 luglio era stato gettata da alcuni manifestanti su una macchina della polizia.
Furono fermati 93 attivisti, 61 persone finirono in ospedale, di cui tre in prognosi riservata e uno in coma.
Il 13 luglio 2007, a sei anni da quei fatti, il vice questore aggiunto del Primo Reparto Mobile di Roma confesserà a Genova in un aula di tribunale che quello fu un vero e proprio pestaggio, definendolo “macelleria messicana”.
Agirono senza paura di nessuna conseguenza; entrarono armati di manganelli contro civili disarmati, fra cui giornalisti, e addirittura un pensionato che aveva trovato lì ospitalità per la notte e che sarebbe rientrato il giorno dopo a casa. Ci tornerà ma con un braccio rotto.
Il passo che riporto tratto dagli atti processuali spiega bene la dinamica di questo ‘macello’, dove afferma che: “l’inconsulta esplosione di violenza all’interno della Diaz abbia avuto un’origine spontanea e si sia quindi propagata per un effetto attrattivo e per suggestione, tanto da provocare, anche per il forte rancore sino allora represso, il libero sfogo all’istinto, determinando il superamento di ogni blocco psichico e morale nonché dell’addestramento ricevuto, deve d’altra parte anche riconoscersi che una simile violenza, esercitata così diffusamente, sia prima dell’ingresso nell’edificio, come risulta dagli episodi in danno di Covell e di Frieri, sia immediatamente dopo, pressoché contemporaneamente man mano che gli operatori salivano ai diversi piani della scuola, non possa trovare altra giustificazione plausibile se non nella precisa convinzione di poter agire senza alcuna conseguenza e quindi nella certezza dell’impunità. Se dunque non può escludersi che le violenze abbiano avuto un inizio spontaneo da parte di alcuni, è invece certo che la loro propagazione, così diffusa e pressoché contemporanea, presupponga la consapevolezza da parte degli operatori di agire in accordo con i loro superiori, che comunque non li avrebbero denunciati”.
è proprio questo il punto più grave: questi poliziotti hanno operato nella totale violazione delle norme e delle leggi, perché sapevano che potevano farlo; perché sapevano che non sarebbero stati puniti; perché sapevano che i loro superiori avrebbero trovato una giustificazione a quel pestaggio( ‘la Diaz era un ospedale e i presenti presentavano contusioni e ferite pregresse all’arrivo del VI comandò’- dichiarerà uno dei loro capi).
Diversi membri dell’Unione hanno chiesto per due volte di istituire una commissione parlamentare d’inchiesta, e per due volte il parlamento si è opposto.
Nessuno vuole un’altra inchiesta, che porterebbe probabilmente alla luce nuovi fatti, nuovi particolari forse anche più scabrosi. Alla fine nessuno risponde.
loner
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