Parlo a studenti universitari. Vi chiedete mai perché avete scelto la facoltà che fate? Ok “perché mi piace”, è la risposta immediata. Ma il gusto passa e il piacere anche. “Cosa farò da grande?” Ci chiedevamo all’inizio di quest’avventura, ma il “da grande” è sempre più vicino e quella domanda si fa sempre più pressante.
Tra un articolo di procedura civile e l’altro mi capita spesso di chiedermi: “Perché ho scelto di studiare legge?” non so darmi una risposta definitiva. È un senso della giustizia, di voler difendere l’altro che a volte riemerge, nonostante si faccia di tutto per vivere e star bene da soli.
Ultimamente, alla luce di tutti i fatti successi, in Italia e nel mondo, mi sono chiesta tante volte: “Ma a cosa servirà tutto il mio studio?” anche se diventassi un magistrato, un ottimo giudice (?!) le cose non si risolveranno, il male comunque trionferà.
Era un periodo che pensavo a questo. Ed è successo un fatto.
Sono stata a Roma a un convegno universitario organizzato da un movimento chiamato “The Others” e in alcuni incontri si diceva che l’uomo ha dentro di sé l’istinto di fare il male ma allo stesso tempo anela la bene. È stato un discorso molto toccante anche se difficile da capire. Ma non ci si è fermati, in questo convegno, alle parole ma si è andato nei fatti attraverso l’amicizia e la convivenza con amici di altri atenei, italiani, francesi, scoprendosi amici con gente che non sapevi neanche esistesse. Mi sono chiesta come era possibile tutto questo. Alla fine è vero che se riconosci che tutti abbiamo lo stesso desiderio di essere felici e di realizzarci, alla fine tutti siamo uguali.
Sono tornata a casa e la visione di tutto è stata diversa, a cominciare dai miei studi e dal modo che avevo di guardarli.
Se tutti al fondo siamo portati a commettere il male tutti però abbiamo lo stesso bisogno di bene, ma di un bene che sia duraturo e vada al di là delle cose, che risponda a quella domanda: “ Ma la mia vita a cosa serve?” allora il modo che ho di guardare colui che commette un reato, il modo che ho di applicare una legge, cambia e tutto è stravolto.
Cambia il modo di vedere la persona che hai davanti; finalmente si spacca dentro la mia testa la concezione che per anni alcuni professori ( non tutti, alcuni sono stati d’aiuto e d’esempio) mi hanno inculcato: che il mondo è diviso in due parti, i buoni (che normalmente sono i potenti) e i cattivi (che normalmente sono i deboli), e che contro di essi la legge doveva essere una punizione definitiva senza possibilità di salvezza. Ma non c’è nessuna divisione.
“Ricorda in alcun modo che non puoi essere giudice. Giacchè nessuno può essere su questa terra giudice di un’malfattore se prima non abbia acquistato coscienza che anch’egli è altrettanto malfattore quanto quello che gli sta d’innanzi, e forse prima d’ogni altro colpevole” sono le parole che Dostoevskij fa dire allo sterec Zosima.
Pensavo prima che fosse impossibile applicare questo, ma ora, invece, non mi sembra più così lontano.
Loner
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