30 milioni di dollari giornalieri, per otto giorni, sfumati; questo sì che è fare uno sciopero. A tanto sono riusciti i minatori indonesiani lavoranti presso Freeport-McMoran, miniera di ora e rame. È dal 15 di settembre che gli scioperi vanno e vengono, pochi giorni fa i lavoratori sono tornati a protestare, ma stavolta durante la loro marcia di protesta lungo la strada hanno trovato le guardie pronte ad aprire il fuoco. Quando le stesse hanno cercato di bloccare l’accesso alla miniera, la folla ha iniziato a innervosirsi, gli animi si sono accessi e le guardia hanno iniziato a sparare, morale della favola un morto e un ferito grave.
Capisco che i capi della miniera erano troppo incazzati (chi non lo sarebbe se perdesse 30 milioni di dollari al giorno) per andarci con le maniere dolci e capisco anche che i sindacati e il diritto del lavoro in Indonesia fanno quello che possono, ma non certo quello che vogliono, ma sapete perché sono nati questi scioperi? Ovvio, per condizioni lavorative migliori, in particolar modo sullo stipendio, è chiaro allora che il padrone si incazza ancora di più.
Veniamo dunque ai salari. Lo sciopero nasce con la precisa richiesta di aumento dello stipendio per circa 12mila impiegati che ricevono ora dai 2,10 ai 3,50 dollari all’ora e che vorrebbero invece riceverne dai 17,50 ai 43, a seconda della difficoltà lavorativa, dell’esperienza e della sicurezza (inesistente) sul lavoro.
Per farvi capire meglio di cosa si tratta sottolineo che chi oggi riceve 2,10 dollari all’ora verrebbe pagato in euro circa 1,50. Non vi pare evidente schiavitù? Soprattutto se pensate ai guadagni giornalieri di cui parlavo sopra. Capite bene che il diritto allo sciopero è allora sacrosanto, e la rabbia verso i propri datori di lavoro non solo è giustificabile ma, anzi, osannabile.
Così gira l’economia, ci si basa sul prezzo economicamente più vantaggioso, ci si disinteressa di chi questo prezzo te lo fa raggiungere, si mettono sotto schiavitù i propri dipendenti e ci si accomoda delicatamente su montagne di quattrini ad osservare, dall’alto, il mondo che gira.
octavio
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