Non dovrei essere io a parlare di Palestina, lo so. Essendo però ormai tempo di auguri natalizi ho pensato di concedermi uno strappo alla regola. Natale infatti non può che significare Palestina, lo so sono pazzo e sono troppo “cattolico” per il gusto attuale, ma se di Natale si deve parlare (e tutto il mondo ne parla) si deve parlare di Gesù, d’altronde è la sua nascita che si ricorda. Oddio, l’ho detta un po’ grossa, dovrei dire che è della sua nascita che nessuno si ricorda tanto che anche chi va a messa lo fa solo per mostrare l’abito nuovo o il nuovo cappotto o gioiello appena arrivato in dono. Sì, insomma, il Natale è tutto tranne il ricordo di quel bimbo che nacque nelle terre di Palestina, là dove ora sorge la Basilica della Natività, dentro la quale una stella argentata indica con precisione il luogo della nascità, lì dove Maria avrebbe dato alla luce, dopo tanta sofferenza a quell’esserino che avrebbe cambiato le sorti di tutte le religioni. Indubbio è, anche per l’ateo o il fortemente laico, lo “scandalo” di Gesù nei confronti di ebraismo e nei confronti del futuro Islam che lo prenderà come modello per auto affermarsi unica, vera religione.
Tutta questa premessa per dire cosa? Che la basilica sta cadendo a pezzi, lo scorso settembre dal mondo palestinese era stato firmato un accordo per iniziare i lavori di restauro ma, a tuttora, la situazione rimane in un grave nulla di fatto che rischia di portare a distruzione irreparabile le decorazioni e la santità del luogo.
Unica via di speranza è, oggi, l’Unesco, l’etichettatura di patrimonio dell’umanità della città di Betlemme porterebbe sicure migliorie e reali ristrutturazioni non solo alla chiesa ma alla città tutta.
Il problema è sempre quello, Israele. Non solo il governo si diverte a chiudere gli accessi alla città nei giorni delle feste natalizie o a bombardare case e negozi nei pressi della Basilica (azioni che hanno portato già svariate volte gravi danni alla struttura), ma anche non riconosce l’operato dell’Unesco e, insieme con gli Stati Uniti, hanno deciso di tagliare i fondi all’Agenzia.
Facciamo dunque lo sforzo, questo Natale, di ricordare i luoghi nei quali questa festa prese vita e, con forza critica, impariamo a riconoscere quando uno Stato fa il bene e quando lo si giustifica solo per retroscena politico-economici.
octavio
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