lunedì 6 febbraio 2012

Il metodo dela tolleranza zero

Non so perchè Jakadrien Turner, 15 anni, non ha detto la verità subito, e rimane, comunque, il fatto che ha rubato in un negozio di Houston lo scorso aprile. Una volta presa, però, ha dato un nome falso, ha detto di essere Tika Lanay Cortez, colombia in attesa di rinnovo del permesso di soggiorno, o meglio, in attesa di rientrare in Colombia per ottenere quei documenti che gli avrebbero permesso di ottenere la green card. Il 23 di maggio viene espulsa e deportata in Colombia e solo alla fine dello scorso mese è riuscita a ritornare a Dallas, dopo che, aveva comunque detto, prima di essere espulsa, di aver mentito e che la sua vera identità era quella, appunto di Jakadrien Turner. Non voglio stare qui a dilungarmi troppo su di lei, lei diventa per me un esempio di come gli USA lavorino e ragionino rispetto al “problema” stranieri, immigrati e clandestini. Non dico che avrebbero subito dovuto credere alle parole della ragazza, mentre diceva di aver mentito sulla sua identità, posso credere e capire che molti sul punto di essere espulsi inventino la qualunque pur di rimanere nel paese tanto sognato e tanto agognato, ma critico fortemente il disservizio. Gli USA, quelli che hanno tutti i mezzi possibili per controllare i flussi migratori, quelli che prendono le “impronte digitali” degli occhi, quelli che interrogano, senza battere ciglio bambini di 5 anni o meno, non si sono nemmeno posti il problema di controllare a fondo sull’identità di questa Tika Lanay Cortez? Basta essere non statunitense da garantirsi a vita l’espulsione? È difficile da credere, ma è obbligatorio constatare che vige ancora, e non c’è nemmeno troppo da stupirsi parlando del paese che gestisce e organizza tutte le guerre nel mondo, la tolleranza zero; quella per cui è meglio togliere il male che curarlo. In parole povere si ragiona così: meglio uno straniero in meno che un problema in più. Il razzismo fa schifo!
octavio

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