Mare di Barents, zona costiera ma dalle profondità mai viste. Area di contesa per ben 44 lunghi anni tra Norvegia e Russia per decidere quali confini tracciare così da sapere con precisione che acqua è norvegese e quale è russa.
L’interesse per l’area non è certo legato alle bellezze paesaggistiche e, dunque, al possibile turismo che ne potrebbe scaturire; l’interesse è tutto per le circa 7 tonnellate di petrolio e gas naturale custodite sotto galloni e galloni di acqua.
Nel 2010 arriva l’accordo, a Oslo, tra le due nazioni e così oggi prendono vita i confini marini che danno in mano alla Russia il giacimento di Shtokman (il più grande) e alla Norvegia altri due giacimenti, più piccoli e per questo due. È stato stimato che la riserva di petrolio e gas che da oggi è in mano russa ha al suo interno tanto gas da assicurare l’intero fabbisogno energetico mondiale per un anno. Capite di che quantità stiamo parlando? Come spiegate allora l’azione di 57 deputati della Duma che a marzo hanno votato contro la ratificazione dell’accordo? Le possibilità sono due: o erano ambientalisti, ma al Governo russo chi è ambientalista è difficile che ottenga successo, o erano leader di industrie petrolifere o simili che non si accontentavano del solo giacimento di Shtokman ma volevano di più, volevano tutta l’area.
Ora arriva però il problema; il 30% delle riserve petrolifere mondiali si trova nella zona artica, e lì anche gli Stati Uniti, il Canada e la Danimarca hanno interesse e potere decisionale. Ovviamente il Mare di Barents è in quell’area e, anche se è vero che geograficamente lambisce Norvegia, Svezia Finlandia e Russia in particolare, tocca, con le sue acque, anche la Groenlandia e la zona artica appunto. Chi non vorrebbe tentare di rompere questo accordo così fresco di nascita per cercare di ottenere qualche goccia di petrolio anche lui? Staremo a vedere, la corsa all’Oro Nero non ha mai fine e stupisce sempre per i suoi effetti speciali.
aleksej
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