Non c’è bisogno che io stia qui a disquisire sulla precarietà di vita dei coltivatori latinoamericani (ma non solo loro) di caffè. Internet straripa di indagini, documenti e immagini che testimoniano il lavoro duro e difficile che l’uomo compie prima di portare la pianta in produzione e dopo durante la raccolta; fatica ripagata con quasi nulla in cambio. El Salvador ha però da sempre avuto la “fortuna” di poter basare su queste piantagioni l’economia nazionale che ha sì arricchito i soliti latifondisti ma ha anche permesso di non mandare alla completa deriva un paese dove la povertà estrema è esperienza che quasi tutta la popolazione vive o ha vissuto.
Dal 2008 è nata una nuova idea al crimine organizzato: derubare il caffè dalle piantagioni. Oggi, 2011, gli assalti sono così organizzati che è nato un vero e proprio mercato nero del caffè, lo potrei definire mercato nero legalizzato essendo che tutto lo Stato sa quali torrefazioni comprano caffè rubato ma nessuno fa nulla per fermarle.
Le aggressioni si caratterizzano dall’arrivo di uno o più camion carichi di giovani che, armati di tutto punto, bloccano la piantagione per ore, obbligano i lavoranti a caricare i sacchi sui camion e le donne a cucinare per loro, inutile dire che chi prova ad alzare la testa è subito ferito o ucciso.
La polizia? Inesistente. O non si presenta sul luogo dell’assalto o si presenta ma in numero troppo ridotto per poter fare qualcosa. Il governo? Lo dicevo anche prima: se ne frega. I coltivatori? Non hanno altra scelta. O accettano di essere derubati non solo del loro vivere ma anche della loro fatica o se ne vanno, abbandona i campi per andare in città nella “speranza” di un futuro migliore.
octavio
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