La notizia è arrivata chiara e decisa, e quasi sicuramente tutti gli ambientalisti avranno tirato un sospiro di sollievo: sul lago di Tiberiade divieto di pesca per 2 anni per il calo allarmante della popolazione ittica. Il dato è certamente preoccupante perché il calo di pesca del “famoso” pesce San Pietro è pari, dal 2007 ad oggi, a circa il 30% della produzione, per questo il ministro per l’agricoltura Simhon Shalom ha richiesto il blocco della pesca e circa 15mila sheqel per ricompensare i pescatori che perderanno lavoro, i pescatori sono quelli dello stato d’Israele non i palestinesi, che pure loro pescavano lì…
Quello che non hanno detto è il vero motivo dell’abbassamento della fauna nel lago. C’è un’industria in Israele, Mekorot e fornisce il 70% del fabbisogno idrico dello stato ebraico, opera in 3000 strutture e lavora ogni tipo di acqua (acqua di mare, salata di terra, acqua dolce, acqua di scarico depurata). Ogni anno gli introiti sono circa 700 milioni di dollari e il bilancio della società arriva ai due miliardi. Cifre importanti, direi da capogiro, che però si raggiungono solo se l’acqua ce l’hai, per poterla lavorare e poi venderla. Mekorot già nel 2008 aveva chiuso le pompe sul lago di Tiberiade a causa del livello delle acque troppo basso, tornerà a chiuderle oggi? Nessuno ancora lo ha precisato. Io solo di una cosa sono certo, aspirare acqua da un lago per ragioni commerciali e dover essere bloccati perché se n’è aspirata troppa fa rabbrividire. Chiudere un lago dalla pesca può essere una soluzione ambientale, dare i soldi a chi lì pescava e che ora non potrà più farlo è giusto. È ingiusto escogitarle tutte per trovare un altro metodo per lasciare alla fame i palestinesi.
momò
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