sabato 27 novembre 2010

Cronache da Roma

Che bello non avere la TV. Che bello non sentire più i TG. Se prima le notizie mi arrivavano setacciate, scavate, cambiate, gonfiate o diminuite, ora le capto io stesso dai piccoli segnali di ogni giorno, e le vedo così, meno "epiche" ma più vere. Voglio parlare un po' della protesta studentesca contro l'Obbrobrio Gelmini, il fatto che mi sta più a cuore, e voglio raccontarvelo per come arriva a me, che studio Architettura a Roma. Chiarisco subito che la mia non è quella famosa Facoltà di Architettura dove Bersani e Di Pietro hanno portato i loro culetti, ma un'altra. nella mia facoltà pare non sia mai successo nulla. Non uno striscione, non un volantinaggio, niente. Qui da me si vede il primo aspetto importante di cui mi sono reso conto: alla maggior parte degli universitari non importa proprio nulla di quello che succede qualche metro sotto la loro bella sede, e specialmente ai ricchi futuri architetti. Fortunatamente, qualcuno che si chiede perché da noi non si occupa c'è ancora. Al presidio davanti a Montecitorio ho visto la situazione un po' più animata: una cinquantina di studenti aveva organizzato una lezione autogestita; ho visto con piacere anche dei liceali, che con lo zaino in spalla provavano a fare qualche coro. La polizia controllava la piazza in modo maniacale: una mia amica, dall'aspetto non certo minaccioso, non è potuta uscire dalla via principale, perché gli agenti di guardia avevano paura che gli potesse tirare una molotov. Alla città universitaria della Sapienza tutte le Facoltà sono state occupate, c'è un grande movimento e una grande euforia, ma sotto sotto funziona ancora tutto come prima: segreterie e biblioteche sono tutte in funzione, e a chi parla di bloccare l'anno accademico gli si risponde giustamente che noi abbiamo pagato le tasse e sinceramente vorremmo che le lezioni riprendessero.
Mentre mangiavo un panino con gli amici, discutendo di tutto ciò, un signore seduto vicino ha attaccato un monologo sul Sessantotto, perché "Studenti e operai devono portare avanti la lotta, uniti". Io condivido, ma mi sembra che il coraggio di cambiare veramente la nostra condizione non ci sia, nell'aria. Ergo, cominciamo noi, per primi. Parliamo con tutti, coinvolgiamoli e mettiamoli di fronte al loro e nostro futuro, perché se passa il decreto, siamo fregati.
Zecca

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