martedì 14 dicembre 2010

Un abitudine (IV parte)

Aprì gli occhi il giorno dopo e l’alba incominciava a entrare dalla finestra. Mi alzai deciso a dimenticare gli insopportabili pensieri della sera prima. Non volevo più pensare a quella donna e ai suoi continui tormenti. Ancora non sapevo, non immaginavo, che quel tormento sarebbe stato niente al confronto della lotta che da lì a poco sarebbe iniziata con me stesso e la mia coscienza..
Mi preparai con una certa fretta, senza fermarmi un attimo e in pochi istanti fui pronto per uscire. Era troppo presto però per andare in ufficio, ma io non volevo aspettare, non volevo restare fermo con me stesso. Uscii quindi di casa e chiudendo la porta, mi accorsi che niente mi vietava di andare in ufficio a quell’ora. Niente me lo vietava ma non era da me. Ero abituato a rispettare gli orari che mi ero imposto. Camminai a lungo, senza guardare niente in particolare, tenevo lo sguardo chino e cercavo di non pensare a niente. Arrivai in ufficio e comincia a sistemare le mie carte. Decisi di riordinare l’archivio delle sentenze, anche se esso era perfettamente in ordine. Ma perdermi nelle carte fu la decisione migliore di quella giornata: non pensai a nulla, riordinavo semplicemente e meccanicamente. Era quello di cui avevo bisogno. Verso le undici qualcuno bussò alla porta ed era di nuovo lei. Quella donna insulsa, arrogante e saccente che mi indisponeva al solo vederla. Restava lì, sulla porta, immobile come se tutto il resto intorno a lei non esistesse.
“Le avevo detto che sarei tornata” disse con tono fermo e deciso, “la sua testardaggine non ha limiti. Non capisco perché continua a darmi il tormento, sinceramente” dissi io, ma il mio tono questa volta era diverso. Ero, è vero, scocciato da lei, deciso a eliminare ogni suo tentativo di stabilire un rapporto con me, ma ora a differenza di prima, ero incuriosito. Mi rendevo conto che stava succedendo qualcosa di diverso e questo fatto mi infastidiva ma era una novità per me.
“Il mio scopo non è tormentarla, ma solo farle vedere alcune cose. Ha giudicato colpevole il mio assistito senza conoscere nulla della sua realtà. Vorrei farle vedere un posto. Chiedo solo che lei venga con me e, una volta terminato ciò che voglio mostrarle, sarà libero di andarsene”.
loner

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