giovedì 30 dicembre 2010

La mia malattia incurabile: il mal d’Africa

Forse la svolta è vicina, o forse così ci vogliono far credere. Io quando di mezzo c’è il petrolio dubito sempre che le trattative siano vere e valide, credo invece che gli USA sicuramente interverranno, magari non apertamente, ma lo zampino ce lo metteranno. La mia non è fantapolitica, quella degli USA sì.
Il 9 gennaio ci sarà, se prima non li sterminano tutti, un referendum fondamentale per il Sudan, un referendum che dovrebbe dividere il nord dal sud. Se tutto sarà regolare è ovvio che questa divisione ci sarà e con essa dovrebbero tornare in auge gli accordi fatti nel 2005, quando si diceva finita la guerra, che prevedevano: partecipazione del sud al governo centrale, il 50% delle risorse petrolifere del paese (la maggioranza di esse sta proprio nel sud), possibilità di votare la secessione nel 2011. Per ora solo quest’ultima decisione è stata attuata, nel mentre dal 1983, quando la guerra incominciò, due milioni sono i morti e quattro milioni i dispersi (altro modo per chiamare i morti di cui non si trova il cadavere), il presidente del Sudan al-Bashir è stato incriminato dalla Corte Internazionale per genocidio contro il Darfur.
Proprio lui, il presidente, che se a breve non verrà raggiunto un accordo con i ribelli del Darfur ritirerà i suoi negoziatori da Doha, in Qatar dove si stanno svolgendo in questi giorni i negoziati (qualcuno lo sapeva? Qualche giornale ne aveva parlato? Gli USA a riguardo hanno fatto qualche dichiarazione? A qualcuno gliene frega qualcosa del Darfur e dei suoi morti?). I JEM, il gruppo di ribelli (perché poi devo chiamarli così?) più organizzato, ha commentato questo parole dicendo che è una nuova dichiarazione di guerra, e hanno ragione.
Questa è la situazione che un referendum dovrebbe risolvere, un referendum che divide due stati ma dimentica che dentro a quelle terre vivono diverse etnie. Noi ce ne freghiamo, ragioniamo solo sulle cartine e con grandi righelli tiriamo i confini, nessuno pensa che si mettono insieme etnie che da secoli, forse da millenni sono in lotta tra di loro, ma chi pensa alle nuove stragi? Chi è così statista da pensare all’uomo più che alle righe? Ecco allora che arriva l’ondata degli yankee che con George Clooney in prima fila, le celebrità devono sempre fare bella figura, si prepara a salvare il Darfur. Grazie ai soldi che ha stanziato la sua associazione in collaborazione con l’ONU da oggi dei satelliti stanno monitorando il confine del Sudan per controllare, è iniziato il Grande Fratello versione Risiko (la nuova frontiera del programma TV). Questa è la dichiarazione di Clooney alla presentazione del progetto: «Vogliamo che i leader del Sudan siano sottoposti al livello d’attenzione delle celebrità, lo stesso che ho io di solito. Se sai che qualcuno osserva ciò che fai, tendi a comportarti in maniera diversa».
Non ci interessa più educare le persone a una politica giusta e vera, no con quella ci facciamo le serie tv, a noi interessa solo l’apparire.
octavio

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