giovedì 30 settembre 2010

I monologhi spacciati per dialoghi

Forse è un grande evento, forse no è normale amministrazione, sta di fatto che le due Coree si incontrano per dialogare anche se vengono definiti negoziati militari. Il Timone ne aveva già parlato e poi quasi tutti conoscono i modi in cui si svolgono questi dialoghi. Ci si incontra sul confine, si entra nelle famose casette bianche e grigie, ognuno scortato dai suoi militari, ci si siede ai tavoli e si tira una piccola cordicella, posta esattamente sulla linea di confine, per dividere, anche sul tavolo, le due Coree. Se per caso si deve andare a consegnare un messaggio da una Corea all’altra si entra sempre nella casetta, si supera il confine per arrivare alla porta dello Stato al quale va consegnato il messaggio, mentre dalle finestre si viene controllati e tenuti sotto mira, due militari si tengono stretti e si appoggiano contro il muro per evitare che ci aprisse la porta potesse tirare in territorio nemico il messaggero. Sembra follia ma questo avviene davvero e se avviene capite bene che i dialoghi non possono esistere, sono al massimo monologhi a turni alternati.
Le due Coree comunque si incontrano per dialogare e due sono le tematiche che dovranno affrontare da un lato il Nord vuole la delimitazione della frontiera marittima del Mar Giallo dall’altro il Sud vuole discutere sulla responsabilità di Pyongyang sull’affondamento del Cheonan sudcoreano. È pur vero che in tutto l’anno le due Coree si sono avvicinate negli aiuti umanitari dopo le inondazioni che hanno colpito il Nord e sul ricongiungimento dei famigliari divisi dopo la guerra, ma se le uniche motivazioni portate ai dialoghi ufficiali sono per dividere maggiormente che senso ha farli? Con quale scopo? Il dialogo non dovrebbe unire?
octavio

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