venerdì 11 dicembre 2009

Cara Redazione di Nessun Dorma più,
ho scoperto il vostro blog qualche settimana fa e vorrei condividere con voi une inquietudine che mi abita dal 22 settembre scorso. Io sono una straniera trapiantata in Francia, paese che amo profondamente e al quale sono molto riconoscente.
Mi permetto perciò di raccontarvi i fatti che seguono, solamente perché sono cose che succedono sotto i miei occhi e perché tutto ciò non si limita al solo suolo francese, come lo dimostrate col vostro blog.
Il 22 settembre scorso, alle 7 e 30 del mattino, nel campo degli immigrati illegali di Calais, un folto gruppo di giornalisti, cameraman, della stampa nazionale e internazionale, guardavano in silenzio gli abitanti del campo seduti vicini a qualche fuoco, in compagnia dei membri delle associazioni umanitarie che non hanno voluto lasciarli soli quella notte.
Questo accampamento è chiamato la “giungla” dai suoi stessi abitanti e esso è ( cioè era..) situato in prossimità delle strade riservate agli autocarri. Due settimane prima, gli immigrati che ci vivevano erano tra i 700 e gli 800, la maggioranza di loro veniva dall’Afghanistan e aspettava di poter partire per l’Inghilterra. Gli altri sono scappati nel frattempo, dopo la dichiarazione d’Éric Besson, che prometteva di smantellare il campo.
Il Signor Besson è Ministro dell’Immigrazione, nonché il disegnatore della distruzione di questo campo che lui stimava essere “la base dei traghettatori”, popolata da immigrati “sfruttati” e “vittime di violenza”. Fino all’alba del 22 settembre, però, l’accampamento era, per i suoi abitanti, anche il luogo della speranza, quella di poter, un giorno, andare in Inghilterra. E’ chiaro che quelli che sono rimasti, (e che all’alba hanno visto arrivare 500 poliziotti preceduti dall’avviso dei megafoni, con i furgoni cellulari e i bulldozers, che avevano già circondato il campo poco prima delle 7 e 30) non avevano nessun altra alternativa. Gli immigrati e i membri delle associazioni si sono riparati dietro a degli striscioni. “ Abbiamo bisogno di un riparo e di protezione. Volgiamo l’asilo e la pace. La Giungla è la nostra casa”, diceva uno striscione. Ma il loro messaggio non è passato, due ore più tardi gli autocarri della polizia avevano già smantellato tutto, avevano già distrutto in così poco tempo tutto ciò che altri uomini avevano costruito a fatica ( anche se si trattava solo di qualche tenda e di baracche..)
Nel suo comunicato stampa, il Signor Ministro Besson, ha dichiarato “ L’operazione di smantellamento della giungla, realizzata il 22 settembre, stata un successo. L’oggettivo, che era quello di distruggere un accampamento insalubre e uno snodo per le filiere clandestine in destinazione dell’Inghilterra, è raggiunto. La zona è stata resa al suo stato naturale e diventerà una zona di sviluppo economico”.
La presenza della stampa, le numerose fotografie scattate quel mattino, i volti dei giovani, i video che circolano dappertutto, lasciano credere il contrario. Tutto ciò fa pensare a un’intimidazione mediatizzata e non a un’azione umanitaria ( nonostante tutto non siamo ancora del tutto scemi e non possiamo ascoltare il Signor Besson quando definisce la sua politica “ di fermezza e umanità”) Riconosciamo un male, ma (aimé!) non possiamo localizzare da dove viene. Si tratta di un male del quale anche io mi sento malata, nonostante tutto.
Éric Besson ha dato a ciascuno degli immigrati tre “soluzioni individuali” : il ritorno volontario, la domanda di asilo o l’espulsione. Solo che la maggioranza degli abitanti della giungla veniva dall’Afghanistan e che essi rientreranno in un paese in guerra. Solo che per loro sarà difficile ottenere l’asilo, anzi impossibile. Solo che quel 22 settembre, c’erano dei ragazzini a affrontare alla polizia, e alcuni di loro erano malati di scabbia. Qual è il nostro problema Signor Ministro? Ammettiamolo, ecco qui il nostro male: la paura dell’altro, di tutto ciò che è altro da me, che potrebbe venire a bussare alla mia porta, disturbarmi, mettere in discussione le mie opinioni, i miei valori, le mie certezze. ( Ammettiamolo, Signor Ministro, voi ed io, dobbiamo curare il nostro cancro. Non è un caso se lei è sia il Ministro dell’Immigrazione che il Ministro dell’Identità Nazionale, come per dire, con belle parole, che gli stranieri sono un pericolo per la nostra identità…Non è un caso se il 12 novembre lei ha aperto un grande dibattito (su Internet, alla tele, sui giornali, sugli opuscoli gratuiti nel metro, nei giornaletti per adolescenti) “che avrà fine il 4 febbraio 2010 con un convegno sull’identità nazionale, durante il quale il Ministro presenterà la sintesi dei lavori”. Non è un caso se, con belle parole, come “persona di origine straniera”, “integrazione”, e “sviluppo solidale” lei ha cercato di nascondere il tumore che si espande. Perché altrimenti cominciare un dibattito sull’identità nazionale, con un testo che sposta tutto il problema, già dalla prima riga, sulle “persone di origine straniera” e non su quello che noi siamo? Possiamo definire la nostra identità solo sulla paura dell’altro? Che scopo abbiamo? Metterci in una condizione di superiorità rispetto all’altro, al diverso, allo straniero? Forse. Solo che tutto questo è ciò che ascoltava mio nonno da un ometto dai baffi neri alla radio. Vogliate scusarmi, Signor Ministro, se oso esprimermi è solo per l’amore verso il paese che mi a accolta qualche anno fa).
Tutto questo non fa che confermare la presenza di un tumore, di un cattivo funzionamento delle nostre cellule, della nostra umanità.

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