lunedì 14 dicembre 2009

Destini che si uniscono


La questione arabo-israeliana e gli eventi in Medio Oriente dimostrano come il progetto statunitense soffre di gravi difficoltà e scopre i reali interessi che stanno dietro a questi sanguinosi eventi. Se a ciò si somma la crisi economica mondiale diventa evidente il motivo per cui si notano cambiamenti di rotta della politica americana senza però eliminare l’interesse per l’area. È dimostrato da molte prove che le lobby israeliane stanno facendo pressioni al Congresso per un compromesso: la riforma della sanità voluta da Obama sarà approvata in cambio di una completa adozione delle politiche del governo israeliano per quanto riguarda la Palestina. Nonostante le dichiarazioni statunitensi a proposito degli insediamenti e della situazione di Gerusalemme, è evidente che l’Amministrazione nordamericana non ha effettivamente messo in campo nessuna misura punitiva per quanto riguarda la costruzione di migliaia di nuove unità abitative nei territori occupati e per quanto riguarda il rifiuto israeliano di applicare la legge 194 che garantisce il diritto al ritorno dei rifugiati.
E non ci fermiamo qui ai confini del territorio israeliano abbiamo il Libano. Il Primo Ministro, Saad Hariri, trova ancora difficoltà a formare il nuovo governo a causa dei tanti fattori negativi regionali e interni; l’assistente del segretario di Stato americano, Geoffrey Feltman, e l’attuale Ambasciatore statunitense, Michelle Sisson, stanno esercitando una notevole pressione sulla maggioranza parlamentare per formare un governo senza l’opposizione. Ciò allo scopo di creare una situazione in cui il governo sia completamente in sintonia con il vecchio piano di creazione di una base militare americana nel nord del Libano e con il nuovo piano americano resuscitato dal progetto Mitchell. Tutto questo avviene mentre la minoranza parlamentare, con il sostegno siriano e iraniano, sta cercando di esercitare pressioni per migliorare la loro quota all’interno del governo. La crisi economica è arrivata anche in Libano e, come sempre, a risentirne sono i più deboli che, qui, ancora una volta, sono i palestinesi. Più di 422 mila profughi palestinesi registrati vivono principalmente in 12 campi profughi sovraffollati e squallidi. Ma a questi bisogna aggiungere la quantità di persone non registrate costrette alla povertà cronica a causa della mancanza di aiuti. Tutti i palestinesi in Libano non hanno uno statuto legale e non hanno quasi alcun accesso all’istruzione, alla sanità o ai servizi sociali al di fuori dell’aiuto dell’organo internazionale UNWRA. È strano, forse, ma due stati confinanti con una popolazione con i medesimi problemi e nell’ombra le medesime istituzioni, due destini che si uniscono.
momò

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