venerdì 18 dicembre 2009

La decima possibilità si chiama Grazia

Devo preparare l’esame di diritto penale II, e a parte dover imparare 900 pagine, il professore ci ha fatto studiare due casi già passati in giudicato, facendo scegliere a noi se difendere il colpevole o rappresentare l’accusa.
Uno di questi casi riguarda la denuncia dei familiari di una donna sposata con un uomo sieropositivo, che per anni gli ha tenuto nascosta l’esistenza della sua malattia, causandone così la morte.
Il primo istinto che mi è venuto è quello di rappresentare l’accusa per “farla pagare” a quest’uomo che, senza nemmeno avere letto gli atti del processo, già ritenevo colpevole.
Mi sono chiesta solo dopo come mai l’istinto è sempre quello di condannare una persona senza nemmeno aver ascoltato le due difese.
Semplice, pensavo, colpa = condanna. Ma se è così allora a che serve il sistema giudiziario?
È vero che esistono delle regole e che se non vengono rispettate ci deve essere, per forza, una punizione, altrimenti se non esiste la paura della sanzione a livello sociale, la norma perde il suo valore.
Ma è tutto qui? Chi sbaglia, è condannato a pagare e per lui non c’è nessuna possibilità?
Tornando all’esempio di prima, mi è bastato leggere le prime due righe di riassunto che anticipavano i fatti esposti nella sentenza perché la mia mente lo ritenesse colpevole e meritevole della pena sancita per dolo.
Anche se non fosse colpevole, o anche se ci fossero delle motivazioni valide al suo comportamento, non importa io l’ho già marchiato: è colpevole, deve pagare.
Pensavo, però, che tutti hanno diritto a una difesa, e anche qualora uno fosse colpevole la pena deve essere rieducativi altrimenti a cosa serve?
“Voi dimenticate un particolare…Voi dimenticate Dio… E Lui si beffa altamente della logica del mondo… Se la speranza non esiste allora cosa ci faccio io qui questa notte? Voi avete ragione, ma ragione secondo la maniera dei medici, degli psichiatri, degli psicologi, ossia nove volte su dieci. Ma la decima possibilità mio caro si chiama Grazia… ” Non può esserci - conclude Lamy - “giustizia senza amore.” Ho letto questo passo in un libro di Cesbron, e mi sono chiesta dov’era finita in me questa convinzione per cui la giustizia non può esserci senza amore.
La stessa convinzione che mi ha accompagnato all’inizio dei miei studi ma che pian piano è andata scomparendo. Sono diventata succube dello stesso stato “sociale” perbenista, nel quale vige la legge del più forte, per cui se sbagli, indipendentemente dal motivo per cui sbagli, devi pagare. Non si guarda più al particolare ma si resta solo in superficie. Lo stesso ho fatto io quando mi sono accostata al caso menzionato prima. Sono rimasta in superficie, avevo già condannato tizio nella mia testa senza scendere nel suo particolare di uomo, senza chiedermi il perché delle sue azioni. Era colpevole e doveva pagare.
Lo stesso spirito colpevolista, per cui l’importante è, se si viola una legge, infliggere una pena esemplare per dare un buon esempio a tutti, questo stesso sistema che criticavo nei miei professori diventava inconsciamente parte di me.Per fortuna, però, a volte c’è qualcuno che ti ricorda che la decima possibilità si chiama Grazia.
loner

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