mercoledì 23 giugno 2010

ABITUDINE

Quella notte dormì male;  un sonno disturbato, agitato, e non era da me. Non era da me. Avevo sempre avuto un sonno tranquillo, sempre.
Arrivai al lavoro sperando  che le cinque arrivassero presto. Non volevo essere lì. Volevo tornare a stare da solo, a casa mia.
Mentre sistemavo delle carte distrattamente mi caddè l’occhio su una busta appoggiata lì accanto. Sopra vi era il mio nome. Non capivo perché era lì. Cosa ci faceva una lettera per me sopra alla mia scrivania? Non doveva essere lì. Non doveva stare lì.
Decisi di buttarla senza leggerla. Ma qualcosa me lo impedì e la cosa più terribile è che non so spiegare cosa sia stato ad impedirmelo.
Aprì la busta e decisi di leggerla.
“Caro giudice, anzitutto volevo scusarmi se l’altra volta l’ho disturbata fuori dal suo orario di lavoro, ma era l’unico modo per farmi ascoltare da lei. So di averla turbata e ciò mi dispiace.
Penserà che io sia una pazza, o una squilibrata, ma non è così. Ho solo molto a cuore i miei clienti.
So che lei non vuole sentire ragioni, e so che lei applica la legge solamente, ma le chiedo di ragionare prima di farlo. Non le viene mai la curiosità di chiedersi perché una persona ha agito così? Cosa spinge un essere umano a rubare o a commettere un reato?.
La prego, signor giudice, di porsi queste domande, di non essere solo una macchinetta che applica una norma. Le chiedo di essere umano.
So che le parole non hanno molto peso, quindi le faccio una proposta: venga con me domani alle otto in un posto e forse dopo potrà almeno ascoltare quello che ho da dirle. Trova l’indirizzo allegato a questa busta.
Domani le spiegherò tutto. La prego di fare uno strappo alle centinaia di regole che si è costruito perché non le succederà nulla se per una volta fa un eccezione.
Mi scuso, nuovamente, per il disturbo, ma so che la vedrò domani. A presto. “
 Guardai dentro la busta e vi era l’indirizzo di un quartiere poco raccomandabile a mio parere. 
Rimasi cinque minuti immobile con il foglio in mano. Perché stava capitando a me? Era pieno di giudici là fuori,  alcuni più valorosi, più eroici di me. Conoscevo almeno 4 o 5 giudici che avrebbero pagato per far valere i loro ideali con una persona così. Perché toccava a me?
Perché stava succedendo a me?
Chiusi tutto, riordinai la mia valigetta e andai a casa. Era la prima volta che uscivo prima dal lavoro. La prima volta. E di nuovo la colpa era di quella donna.

…..continua…

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