martedì 27 luglio 2010

Ci si muove solo per avere successo? Chiedetelo ad “Edwood”!

Anche oggi vi voglio raccontare di un film che ho visto recentemente (già, sembra che mi abbiano affidato la parte cinematografica del blog, nonostante io non sia affatto un'esperta, ma semplicemente qualcuno a cui piace passare le serate a vedere dei film...scusate quindi se manco di quei riferimenti, o termini, da veri specialisti del campo).
I primi film di cui vi ho parlato riguardavano entrambi situazioni di incidenza contemporanea, di fatti all'ordine del giorno possiamo dire. In un certo senso anche quello di oggi, ma senza un vero e proprio riferimento ad eventi di attualità.
Il film si intitola "Edwood", diretto dal celebre Tim Burton nel 1994. Vi state chiedendo come possa un film del '94 avere un peso anche oggi? A quelli di voi che lo fanno rispondo così: questo film racconta di un uomo, Edward D. Wood Jr. che vive nella Hollywood dei primi anni '50, il cui sogno è quello di fare il regista. Inizia così a girare diversi film, che però non riscuotono alcun successo, ma che anzi, spesso, provocano solo derisioni. Certo i film erano paradossali e spesso "amatoriali", poiché non avevano molti fondi e il regista pur avendo molte idee, non sempre riusciva bene a metterle in pratica. Se ci fermassimo qui, quelli di voi che si erano posti la già citata domanda, ancora non avrebbero una risposta. Quello che più impressiona di "Edwood", non è tanto ciò che rappresentano i film inscenati, quanto più il lavoro per produrli e le persone che vi lavorano. Il bello infatti è che una vera e propria compagnia di amici si riunisce intorno a questo scapestrato regista e lavorando insieme continuano la loro opera nonostante il pubblico, e in generale la società, non faccia altro che prendersi gioco di loro. Questo è l'aspetto importante, che oggi credo debba essere ripreso in nota. E cioè il principio secondo cui non si deve lavorare, studiare, agire, muoversi e insomma vivere solo per ottenere un successo o un riconoscimento. Ci si deve impegnare per ciò che ci appassiona e quindi ci rende felici, anche se non corrisponde con ciò che il mondo ritiene essere di "successo”.
Pasolini diceva: “Nello stato di normalità non ci si guarda intorno: tutto, intorno, si presenta come normale - privo della eccitazione e dell'emozione degli anni di emergenza. L'uomo tende a addormentarsi nella propria normalità, si dimentica di riflettersi, perde l'abitudine di giudicarsi, non sa più chiedersi chi è. È allora che va creato artificialmente, lo stato di emergenza: a crearlo ci pensano i poeti. I poeti, questi eterni indignati, questi campioni della rabbia intellettuale, della furia filosofica.” Credo sia questo ciò a cui bisogna tendere, essere indignati, senza però fermarsi a sterili lamentele ma muoversi e costruire qualcosa per cambiare le cose.

小王子

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