mercoledì 23 marzo 2011

Rita Atria

“Attendere chi. O cosa?
Forse una speranza,
l’illusione di cambiare ciò che ti corconda
talmente implicato
perché sai che mai ciò che ti è stato rubato
ti potrà essere restituito:
puoi gridare, piangere, soffrire, ma nessuno ascolterà,
nessuno ti capirà,
anzi ti giudicherà.”
Così scriveva Rita Atria nel suo diario.
Figlia di un boss mafioso, implicato in alcuni giri di droga, vede il padre Don Vito Atria morire.
Anni dopo vedrà il fratello Nicola, anche lui implicato in giri mafiosi, morire.
Ma nonostante tutto decide di denunciare, capisce che nonostante la sua giovanissima età ( 16/17 anni) è chiamata anche lei ad un compito. Capisce che l’ingiustizia va combattuta, che bisogna compromettersi in prima persona. Inizia così la collaborazione con il giudice Borsellino. Inizia a raccontare ciò che sa, a fare nomi: come quello di Culicchia, l’ex sindaco democristiano che governò dopo il terremoto. Viene messa nel programma di protezione testimoni, e trasferita a Roma con falso nome. Nel frattempo la mamma di Rita, da brava donna della mafia, la rinnega e non vuole più avere a che fare con lei.
Ma la voglia di combattere di Rita finisce presto: Borsellino, il giudice in cui lei sperava, viene ammazzato. Rita si suicida a soli 17 anni. Davanti a una realtà come quella vissuta da Rita, se non si trova un senso per vivere, resta solo la disperazione e Rita abbandona la lotta.
Al funerale non andò nessuno, nemmeno la madre che la riteneva colpevole di avere violato l’onore della famiglia.
Le ingiustizie non si riescono a spiegare, resta solo il dolore per una ragazzina che a 17 anni si toglie la vita. La mafia non è una questione di alcune “famiglie”, come è spesso definita e banalizzata, la mafia è ormai un’istituzione, un modo di pensare.È questo che va combattuto.
“Istruitevi perché abbiamo bisogno di tutta la vostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi perché avremo bisogno di tutta la vostra forza”. Gramsci
loner

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