martedì 22 marzo 2011

Un abitudine (V parte)

Decisi di seguirla convinto che, se mi avesse mostrato ciò per cui mi dava il tormento, tutto sarebbe finito e io sarei tornato alla mia vita di sempre. Che cosa deve fare, d'altronde, un uomo? Non deve forse vivere la sua vita, fare il suo dovere, e pensare ai suoi affari? Era normale e mi sembrava, anzi, che tutto ciò mi fosse dovuto.
Lungo il tragitto non parlò e io la guardavo in attesa che mi spiegasse dove stavamo andando. Ma non disse niente fino a quando non giungemmo in un quartiere dove non ero mai stato. Vi erano grossi palazzi grigi, cupi con balconi malconci e senza tende alle finiste. Il parco in mezzo sembrava nudo, non vi era erba ma solo terra e fango; sembrava non esserci nulla ma era pieno di persone che entravano e uscivano da questi palazzi. Mamme e bambini e qualche anziano senza scarpe seduti su delle panchine sfondate. Continuavo a guardarla, ma lei non sembrava interessata a me ma solo a ciò che stava intorno. Entrammo in uno di questi palazzi. Le porte degli appartamenti erano semi aperte e all’interno non vi era luce e si avvertiva un freddo che penetrava le ossa.
Continuavo a chiedermi perché stessimo guardando degli appartamenti vuoti, che senso avesse avermi portato fin lì.
“ci abitano famiglie di sei o sette persone. Senza luce né gas. Molti di queste persone sono abusivi, molti non hanno lavoro”, disse con tono di voce basso, come se dirlo ad alta voce fosse qualcosa di sbagliato.
Continuammo il giro senza dire nulla. Mentre giravo riconobbi un uomo che avevo visto in aula non poco tempo fa. Una causa di licenziamento. Il nostro giro non durò tanto, ma l’odore di marcio di quei palazzi mi era entrato nelle narici e un forte mal di testa mi aveva preso improvvisamente. Decisi di andarmene.
“ Ora non le darò più fastidio” disse e aggiunse” volevo solo farle vedere ciò che le ho mostrato. Si chiede mai quando decide una causa che cosa c’è dietro alla persona che le sta davanti? Si chiede mai che situazioni, che fatti, portano una persona a trovarsi in un’aula di tribunale davanti a lei?
Non voglio giudicarla, ma credo che lei si ritenga solo un funzionario, un perfetto funzionario, ma niente più di questo. Ma un giudice non è prima di tutto un uomo? A che serve la legge se tutto si limita ad un’aula di tribunale? A che cosa serve il suo lavoro se non costruisce niente?”.
Non risposi niente. Mi incamminai per tornare alla mia abitazione. Non ero arrabbiato, non ero niente. Nessun sentimento attraversava il mio animo. Il giorno dopo sarei andato a lavorare. Come sempre. Che cosa avrei dovuto fare? Perché dovevo cambiare il mio modo di vivere? Avevo la sensazione che ora qualcuno si aspettasse qualcosa da me. Ma il peggio fu che, man mano che ci pensavo, intuivo che non erano gli altri a volere qualcosa da me, ma ero io stesso. Dopo l’incontro con quella donna non sapevo più chi ero. Mi addormentai, e per la prima volta, sperai di rincontrare nuovamente questa persona. Non mi era mai capitato niente del genere.
Fine.
loner

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