Era ancora buio mentre guardavo fuori dalla finestra. Aspettavo che la sveglia suonasse come ogni mattina. Era un' abitudine. Quella di alzarmi prima che la sveglia suonasse era un'abitudine.
Quei pochi minuti dal risveglio al primo suono di quell’apparecchio passavano sempre davanti a una finestra. Non vi era nessuno scopo in questa mia osservazione, nessun pensiero nobile passava per la mia mente, nessuna aspettativa: era solo un' abitudine.
Spegnevo la sveglia e raccoglievo i vestiti perfettamente piegati sulla sedia. Mi abbottonavo la camicia e dedicavo il giusto tempo ad ogni bottone. Lo stesso tempo lo dedicavo davanti allo specchio per vedere se tutto era in perfetto ordine.
Immagino che la vostra mente, mentre legge queste poche righe, stia già fantasticando e si stia già chiedendo quali grandi domande esistenziali assalivano la mia mente mentre ero davanti a quello specchio.
Mi spiace deludervi, ma non sono quel tipo di uomo. Tutta questa prassi era solo per me un 'abitudine. Come quella di prendere una tazza di caffè bruciato prima di uscire di casa.
Il tragitto dalla casa al tribunale era sempre lo stesso e nemmeno qui la mia mente era accompagnata da eroici pensieri. Mi perdevo, invece, nei particolari abitudinari di quel tragitto: la vecchietta che scendeva per prendere il pane, la signora con il fazzoletto in testa che guardava sempre fuori dalla sua finestra, la mamma che sistemava lo zaino sulle spalle del bambino; tutti particolari che scandivano il tempo del mio tragitto, e ai quali guardavo con estrema tranquillità. Nemmeno il lavoro occupava la maggior parte dei miei pensieri.
Certo quando arrivavo in tribunale mi concentravo, eseguivo le cause che mi venivano sottoposte e lì il mio pensiero era presente. Era un mio dovere. Ma alle cinque, dopo aver terminato con le cause a me spettanti, il lavoro finiva. Le cose esaminate, i fatti, le storie, tutto veniva lasciato dentro quelle mura e abbandonava il mio pensiero.
Il lavoro era solo un occupazione della mia giornata e non meritava nessuno spazio in più, a mio avviso.
Alle cinque chiudevo la valigetta, riponevo via i libri giuridici e tornavo alla mia abitazione. Era un' abitudine,
scusate non mi sono presentato: sono un giudice.
Quei pochi minuti dal risveglio al primo suono di quell’apparecchio passavano sempre davanti a una finestra. Non vi era nessuno scopo in questa mia osservazione, nessun pensiero nobile passava per la mia mente, nessuna aspettativa: era solo un' abitudine.
Spegnevo la sveglia e raccoglievo i vestiti perfettamente piegati sulla sedia. Mi abbottonavo la camicia e dedicavo il giusto tempo ad ogni bottone. Lo stesso tempo lo dedicavo davanti allo specchio per vedere se tutto era in perfetto ordine.
Immagino che la vostra mente, mentre legge queste poche righe, stia già fantasticando e si stia già chiedendo quali grandi domande esistenziali assalivano la mia mente mentre ero davanti a quello specchio.
Mi spiace deludervi, ma non sono quel tipo di uomo. Tutta questa prassi era solo per me un 'abitudine. Come quella di prendere una tazza di caffè bruciato prima di uscire di casa.
Il tragitto dalla casa al tribunale era sempre lo stesso e nemmeno qui la mia mente era accompagnata da eroici pensieri. Mi perdevo, invece, nei particolari abitudinari di quel tragitto: la vecchietta che scendeva per prendere il pane, la signora con il fazzoletto in testa che guardava sempre fuori dalla sua finestra, la mamma che sistemava lo zaino sulle spalle del bambino; tutti particolari che scandivano il tempo del mio tragitto, e ai quali guardavo con estrema tranquillità. Nemmeno il lavoro occupava la maggior parte dei miei pensieri.
Certo quando arrivavo in tribunale mi concentravo, eseguivo le cause che mi venivano sottoposte e lì il mio pensiero era presente. Era un mio dovere. Ma alle cinque, dopo aver terminato con le cause a me spettanti, il lavoro finiva. Le cose esaminate, i fatti, le storie, tutto veniva lasciato dentro quelle mura e abbandonava il mio pensiero.
Il lavoro era solo un occupazione della mia giornata e non meritava nessuno spazio in più, a mio avviso.
Alle cinque chiudevo la valigetta, riponevo via i libri giuridici e tornavo alla mia abitazione. Era un' abitudine,
scusate non mi sono presentato: sono un giudice.
loner
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